Il "panico morale" sulle nuove tecnologie, in particolare sui videogiochi, è una costante ciclica che ogni esperto o appassionato ha imparato a conoscere. Videogiochi come istigatori di violenza, terribili dinamiche di emulazione che correbbero tra i più giovani su questa o quella piattaforma, fino a provocare catene di morti. Ultima in ordine di tempo, la serie Squid game che, grazie anche alla popolarità mondiale raggiunta, è diventata anche protagonista di un filone di (non) notizie legate ai giovani che avrebbero preso a imitare le sfide mortali della serie coreana. Eppure gioco e interattività sono componenti fondamentali dei percorsi di apprendimento e di esperienza del mondo, e gli adulti dovrebbero prima di tutto acquisire consapevolezza di come un certo tipo di oscurantismo possa produrre conseguenze sul piano pedagogico e sul benessere dei minori, anche proprio nei confronti di una relazione sana con le tecnologie e i dispositivi. È possibile trattare temi così importanti e complessi senza scadere nella faciloneria e nel sensazionalismo?

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